«…(re)découvrir la dissidence collective et surtout (ré)apprendre l’insolence de l’autonomie»
L’8 settembre scorso a Montpellier, all’età di 94 anni, è deceduto Ronald Creagh, di origini anglo-libanesi-italiane naturalizzato francese, sociologo e storico del movimento anarchico, studioso di fama internazionale, professore emerito di Civilizzazione americana all’Università Paul-Valery Montpellier-3, direttore del Centre de recherche et d’information sur les cultures d’Amérique du nord (CIRCAN). Consistenti fondi documentari riguardanti i suoi studi e le sue attività sono consultabili presso gli Archivi dipartimentali dell’Hérault, nella stessa cittadina francese, e all’International Institute of Social History di Amsterdam.
Di lui la collega Isabelle Felici, nel ricordarne la ragguardevole produzione scientifica, ha ben sintetizzato il tratto umano accogliente ed empatico che in molti abbiamo potuto apprezzare: “sapeva coltivare l’arte della gentilezza”. Ha scritto molto e il suo contributo teorico è stato caratterizzato da una forte spinta innovativa e attualizzante delle tematiche classiche dell’anarchismo, occupandosi ad esempio delle comunità utopiche sperimentali; ha focalizzato i suoi interessi intellettuali nello studio attento e accurato di quel milieu militante libertario, cosmopolita e transnazionale, che lui stesso ha frequentato fino agli ultimi scorci dell’esistenza. Del resto, l’oggetto principale delle sue ricerche – la critica anarchica alle gerarchie e alla forma Stato, così come l’attenzione al fenomeno dell’emigrazione – si incrociava con quelle sensibilità mutuate dalle esperienze e dalle vicissitudini novecentesche della propria storia familiare. Nato ad Alessandria d’Egitto nel 1929 da genitori con cittadinanza britannica, madre libanese e padre londinese, cresciuto in ambiente multiculturale a Port-Saïd, città sul Canale di Suez, dove era stato educato dalla nonna paterna siciliana a cui rimarrà molto legato. Proprio per lei aveva recentemente redatto un’affettuosa memoria intitolata “Teresa”, apparsa nella raccolta: Sur Brassens et autres enfants d’Italiens (PULM, 2017) curata da I. Felici. Incantato da quella donna magra e severa, con i capelli bianchi e sempre vestita di nero, che dirigeva la cucina “come una mamma”, parlava correntemente quattro lingue – francese, italiano, inglese, arabo – e che viveva dando lezioni di pianoforte in un convento di suore. Il piccolo Ronald riceveva un’educazione profondamente religiosa e clericale, con la frequentazione a cerimonie, funzioni ed iniziative sociali promosse dai gesuiti che gestivano la chiesa della comunità italiana di Port-Saïd, ma anche impegnandosi a studiare musica con la nonna. Nel volume L’anarchisme en personnes, curato da Laurent Patry e Mimmo Pucciarelli (Atelier de création libertaire, 2023), un’intervista dal significativo titolo: “Ni dieux ni paramètres”, ci conferma l’importanza di questo momento formativo adolescenziale, nel quale era rimasto “affascinato dal lume delle candele” (tutte le domeniche suonava il violino alla messa in cattedrale), ma nel quale aveva vissuto, nel 1939, la terribile esperienza dei bombardamenti aerei della sua città, maturando una coscienza pacifista e antimilitarista. Dopo aver frequentato le scuole primarie gestite dai frati, conseguiva a sedici anni un diploma di contabilità e veniva avviato dal padre alla carriera impiegatizia amministrativa.
Trasferitosi in Francia nel secondo dopoguerra, lavorava come docente alla Scuola di management e come consulente organizzativo aziendale. Sarebbe approdato all’insegnamento universitario dopo un lungo percorso e diverse esperienze e crisi esistenziali personali. Fra le più dirompenti quella di farsi ordinare sacerdote cattolico della Congregazione dei Sacri cuori di Gesù e Maria (!). Con il Sessantotto però si sarebbe allontanato definitivamente dalla Chiesa cattolica, rigettando l’abito talare, diventando così un “prêtre défroqué”, avvicinandosi al razionalismo e ai movimenti libertari. Nel frattempo, approfondiva gli studi di sociologia, sulle orme del coetaneo Pierre Bourdieu, seguendo i corsi di Georges Gurvitch, Raymond Aron alla Sorbona. Aveva sostenuto la sua tesi di terzo ciclo alla École pratique des hautes études, nel 1967, e la tesi di Stato nel 1978 all’Università Paris-I.
Berkeley, Chicago e gli Stati Uniti diventavano mete per i suoi avventurosi viaggi di studio e lunghi soggiorni. Da quel momento la storia delle idee politiche, dell’immaginario sociale e delle utopie sarebbero state, sempre più, al centro delle sue attenzioni. Histoire de l’anarchisme aux États-Unis d’Amérique : les origines, 1826-1886, (Pensée sauvage, 1981) la sua opera più conosciuta. Disponibili in italiano: Laboratori d’Utopia (Elèuthera 1987), dedicato alla lunga e importante tradizione del comunitarismo libertario negli Stati Uniti fra i secoli XIX e XX; e il classico Sacco e Vanzetti, un delitto di Stato (Zero in Condotta, 2018), narrazione con approccio storico socioculturale del noto caso, basata anche su inedite fonti dell’FBI. Ha promosso siti web di ricerca sull’anarchismo come “Recherche sur l’anarchisme” e “Dissertations”; è stato animatore di diverse riviste, fra cui “Réfractions”, “Divergences”, “Utopian Studies”.
Il senso del suo lascito di pensiero emerge evidente dal saggio: La déférence, l’insolence anarchiste et la postmodernité, pubblicato su “L’Homme et la société” (n. 123-124, 1997), da cui abbiamo ripreso la frase nell’esergo / sottotitolo. La critica libertaria non è rivolta tanto agli individui o alle organizzazioni, quanto piuttosto a quei dispositivi sociali e mentali che rafforzano i rapporti gerarchici. Gli anarchici non si oppongono allo Stato per via delle sue imperfezioni, o magari perché controllato da una determinata classe sociale, ma per il semplice motivo che le condizioni strutturali necessarie alla sua esistenza appaiono loro del tutto inaccettabili. E perché l’idea stessa di Stato comporta, di per sé, l’esclusione delle persone dal processo decisionale. Se il marxismo aveva messo in evidenza lo sfruttamento economico capitalistico e le forme d’alienazione da esso generate, dando per scontato che, una volta rimosso, il sistema di dominio sarebbe crollato da solo, l’anarchismo ha adottato un atteggiamento opposto. In tal senso, secondo Creagh, l’attuale spoliazione delle masse umane e dell’ambiente da parte delle multinazionali è resa possibile da un indottrinamento educativo generalizzato verso una visione gerarchica del mondo, basata sull’ethos di sottomissione e sofferenza, su apparati complessi di disciplina e punizione. Ci invita, appunto, sull’onda delle ricerche iniziate da Michel Foucault, a riscoprire la dissidenza collettiva, a imparare di nuovo l’insolenza dell’autonomia. Sì, proprio un invito all’insolenza anarchica, coltivando l’arte della gentilezza però.
Ni dieux, ni paramètres ! Accompagnato da chi gli voleva bene e dai tanti concittadini, amici e compagni, è stato inumato con rito civile nel cimitero de l’Égalité a Millau.
Giorgio Sacchetti